Ogni volta che si stende un pavimento, si deve creare un piano di aderenza. Infatti, con un frattone dentato l’artigiano pavimentista spalma un letto consistente di cemento, disegnando delle linee talvolta sinuose ed intrecciate, che diventeranno dimora per la stesura delle mattonelle. Il gesto ondante che l’artigiano procura alla sua superficie, assieme allo sciabordio continuo del metallo contro la terra, ricorda le onde dirompenti davanti alla Chiesa di Santa Maria del Rosario, lungo le Zattere ai Gesuati nella laguna di Venezia.
Qui, al tempo in cui il vaporetto andava solo a vapore, l’architetto veneziano Carlo Scarpa lasciava la sua impronta come ultimo grande maestro del novecento italiano. Formatosi a Venezia frequentando artisti ed intellettuali che incontra alla Biennale e all’Accademia di Belle Arti, andiamo sulle orme di un uomo della personalità imponente, possessore di una cultura lontana dai libri, ma vissuta con rapporti di amicizia e di lavoro: rapporti umani fatti di dialoghi, scontri e giudizi. Nella sua amata Venezia, in cui era venuto alla luce il 2 giugno del 1906, ha lasciato gran parte della sua opera: un patrimonio spesso sconosciuto e non di rado frainteso, che percorreremo assieme per comprenderne le radici.
La lezione scarpiana consiste nella consapevolezza dello spazio circostante per raggiungere un equilibrio senza tempo. Tra le parti che costituiscono un progetto - luce, materiali, posizionamento di muri, dislivelli di pavimentazione, relazioni spaziali e rapporti tra volumi e forma costruita - Scarpa dialoga con la materia come se fosse un artigiano, rispettando la natura di ogni elemento e plasmando la materia grezza in materia viva, in dettagli di forte evocazione poetica.
Nella sua opera giace il desiderio di rimandare, di discostarsi dal giorno in cui le opere si sveglino compiute. Innumerevoli sono i progetti iniziati e non portati a termine, altri terminati dopo lunghi periodi di dialogo con i suoi committenti. Quale vagabondo, Scarpa si è scolpito la propria strada architettonica a modo suo, oscillando tra i vari reami del mondo dell’arte ed esportando da ogni angolo del suo vissuto delle tracce per i suoi futuri progetti. Come progettista, ha saputo consegnare le sue opere al tempo - tema ricorrente nei suoi manufatti - spesso cercando di usufruire del naturale degrado di materiali per evocare la precarietà del tempo cronologico. Questa volontà, assieme al suo immedesimarsi nella natura stessa, hanno reso Carlo Scarpa una figura fraintesa e controversa, spesso ridicolizzata dai suoi contemporanei.
Vi è nelle sue opere il riflesso di una personalità antica poiché ogni luogo, l’architetto Scarpa, lo trasforma in rito. In quanto artigiano, il suo sapere progettuale non è codificato, tanto meno comunicabile, dato che le ragioni del suo agire non derivano dalla memoria ma dalla coscienza ponderata nei confronti della realtà: materia, produzione e commercio. Osserveremo come i luoghi che questo Maestro ha abbandonato in laguna, sono il riflesso di Venezia stessa: diventano parte di un discorso iniziato da tempo. Infatti, la bellezza dell’architettura di Carlo Scarpa è che non ci si sofferma mai per contemplarla, poiché fa parte di un sistema che sembrerebbe esserci stato da sempre.
Con il suo distintivo frattone dentato - la sua matita - Carlo Scarpa ha spalmato un letto consistente di materie intrecciate producendo delle opere che sono, per noi, un piano di aderenza per le proprie memorie e vicissitudini. A tutti gli effetti: geniale l’architetto, l’artigiano, il vagabondo Carlo Scarpa. Ma più bravo ancora è stato l’uomo, l’uomo Carlo Scarpa che ha saputo progettare l’infinito.
contenuti fotografici e digitali:
F. Dal Co; G. Mazzariol . Carlo Scarpa (1906-1978). Ediz. illustrata. Electaarchitettura paperback.